Арсен Аваков. Официальный сайт

Arsen Avakov: «Destabilizzare l’Ucraina serve solo al Cremlino, l’indagine farà piena luce»

In tre giorni l’uccisione di tre dissidenti filo-russi, il ministro degli Interni ucraino: «Mosca ci vuole creare disordini interni e mette in scena le finte purghe agli oppositori nel nostro Paese»

di PAOLO G. BRERA

BUZINA , Sukhobok e Kalashnikov: tre delitti politici in due giorni. Arsen Avakov, ministro ucraino degli Interni, non c’è: è in missione all’Estero, rientrerà domenica.

Ministro, chi sta uccidendo gli oppositori? Che direzione hanno preso le indagini?
«A chi giovano questi delitti? La destabilizzazione giova al Cremlino, che utilizza contro l’Ucraina i collaboratori che lo hanno già servito. Mosca ci vuole creare disordini interni e mette in scena le finte purghe agli oppositori. Fra l’altro Sukhobok non era un oppositore e i suoi killer sono già stati fermati. L’indagine sarà molto scrupolosa, spero di avere presto risultati».

Pravj Sektor boicotta la pace e organizza spedizioni punitive: condiziona le scelte del governo?
«È un altro mito della propaganda russa: il peso reale di Pravj Sektor nella vita politica ucraina l’hanno dimostrato le elezioni: circa l’1% dei voti. Non fa parte né del Parlamento né del governo, quindi non ne può condizionare le scelte».

Il suo ministero ha diffuso la notizia della morte di Buzina definendolo «il famigerato giornalista»?
«Nella notizia sul sito ufficiale del ministero non ci sono queste parole. È così forte la quinta colonna russa nell’informazione italiana?»

A Est si continua a morire, nonostante il cessate il fuoco.
«Ogni giorno ci sono bombardamenti con armi pesanti. Nei supermercati di Donetsk non si vendono cannoni, arrivano dall’estero. Il Donbass occupato ha solo due frontiere: con l’Ucraina e con la Russia. Ecco perché muoiono le persone».

Sparano solo i ribelli, che chiamate «terroristi»?
«Io chiamo terroristi i banditi organizzati dai russi, con armi russe e con a capo ufficiali russi dello Stato maggiore di Mosca. Conosco il punto di vista italiano, ma noi non abbiamo una guerra civile: quando il confine sarà chiuso, come esige l’Ucraina, se le forze internazionali resteranno a presidiarlo il regime sui territori occupati resisterà al massimo tre mesi. E se facciamo un’operazione militare cadrà in due settimane. Questo movimento organizzato nel Donbass non può sopravvivere senza l’appoggio della Russia».

Siete pronti ad attaccare, quindi?
«No, vogliamo risolvere la crisi in modo pacifico, ma siamo pronti a rispondere in caso di aggressione come abbiamo già fatto. Nei combattimenti sono morti 1500 nostri soldati e ci sono seimila feriti, e sono morti tra due e tremila civili. Altro che diplomazia virtuale, qui si entra in un piano concreto. A Donetsk non c’è sviluppo economico, nella maggior parte dei territori occupati non si rispettano i diritti umani, in tante zone di quella regione governano bande che non rispondono più a nessuno. La soluzione a questo punto può essere militare: quando combatti contro banditi e terroristi li devi eliminare. Quando parliamo di soluzione politica, supponiamo che la Russia non aiuti i banditi ma la soluzione stessa».

E in che modo dovrebbe farlo?
«Arretri i suoi soldati e aiuti a chiudere i confini smettendo di fornire armi. Eccola, la soluzione politica. Nuove elezioni locali nel Donbass, a Lugansk e Donetsk, ma solo nel quadro della costituzione ucraina e dell’Ucraina unita. Il presidente è pronto a concedere un referendum in cui può anche essere posta la questione della federazione dell’Ucraina. Ma se chiedete a me, la soluzione non può essere politica: la questione è la garanzia della qualità della vita in queste zone. Per tanti anni l’ex presidente Janukovic ha derubato questa regione. adesso la situazione è infuocata e non si risolve in pochi mesi. Non serve a nessuno il carbone del Donbass, tranne all’Ucraina. Non serve a nessuno la siderurgia, tranne all’Ucraina».

Beh…
«La maggior parte delle fabbriche sono state smontate e trasportate in Russia, ci hanno derubati come facevano i pirati quando conquistavano un territorio».

Parla di diritti civili violati, ma nell’Est l’Ucraina non ha sospeso i pagamenti? Pensioni, servizi sociali, fondi agli ospedali…
«Non è vero. L’Ucraina paga pensioni e servizi sociali a tutti coloro che sono usciti dal territorio occupato e si sono registrati nel nostro territorio. Ogni cittadino ha diritto a quei soldi e li avrà con gli arretrati non appena sarà tecnicamente possibile pagare in quei territori. Al momento è impossibile: non funziona nessuna banca ucraina perché le hanno derubate. Privat Bank ha perso 30 auto blindate, e la banca statale Sverbank ha subito 15 attacchi alle auto blindate. Ma se un pensionato si trasferisce nel nostro territorio, in quaranta minuti si registra e ha immediato accesso alla somma che gli spetta, accumulata. Questa è un’altra menzogna propagandistica che dobbiamo affrontare. La Russia dice: veniamo lì da voi, facciamo un nostro governo ma voi dovete pagare. Capisco di disattendere la richiesta europea di tolleranza, ma questo non potrà mai avvenire. Difenderemo i nostri cittadini fino alla fine, ma con i nostri soldi non possiamo appoggiare il regime dell’occupazione. Nei primi mesi abbiamo continuato a inviare soldi alle miniere, ma il 40% di questi soldi veniva rubato dai separatisti. Allora abbiamo smesso: era come se finanziassimo il terrorismo. Già 1,8 milioni di persone si sono trasferite nel nostro territorio, e tutti ricevono pensione e servizi più un aiuto speciale».

Molti hanno scelto di andare in Russia, però?
«Quanti? E come vivono, lì? Le faccio un esempio: prima che Debaltsevo fosse occupata dai separatisti, ucraini e russi  —  e non parlo dei separatisti ma proprio dei russi, il Quartier generale russo  —  si sono accordati per un giorno di cessate il fuoco per portare via i civili. Entrambe le parti hanno portato pullman, alcuni dovevano andare in Ucraina e altri in Russia. È stata una specie di votazione. Debaltsevo per mesi ha subito combattimenti feroci e non amava molto il governo centrale ucraino. Verso l’Ucraina sono partiti 15 pullman, e solo due verso la Russia. Poi la città è stata rasa al suolo proprio dopo gli accordi di Minsk, e l’Europa ha taciuto pudicamente come fosse una cosa normale».

In una situazione di stallo, la soluzione non deve essere win-win? Vincente per tutti, non solo per il governo ucraino?
«L’Ucraina sta combattendo in prima linea contro la Russia. Per me il regime russo è completamente pazzo, e non si fermerà: le prossime tappe saranno sicuramente la Romania, la Polonia e i Baltici. Non arriveranno all’Italia e alla Spagna, ma la destabilizzazione sarà fortissima. La questione fondamentale per la sicurezza dell’Europa è l’appoggio all’Ucraina contro la Russia, non dico per attaccarla ma per contenerla nei suoi limiti».

È una posizione aggressiva, non crede?
«A Bruxelles ho parlato con Mogherini, fa gli stessi ragionamenti di un europeo medio: perché dovremmo entrare in quel conflitto? Perché non è così lontano dai centri europei come sembra, e perché anche una persona normale che sia stata in guerra per più di trenta giorni e abbia visto il sangue e la morte diventa non più normale, e vorrà continuare la guerra. Nutrire l’aggressore, impersonato dalla Russia, vuol dire concedergli la possibilità di andare avanti».

Quindi quali speranze concrete avete di arrivare a una soluzione? La Russia dovrebbe arretrare e chiudere i confini senza alcuna garanzia dell’autonomia politica e linguistica che ha chiesto?
«Allora io chiedo l’autonomia politica delle isole Curili dalla Russia… ma che c’entro io con la Russia? Mosca si preoccupa per la gente russofona dell’Ucraina? Io sono ucraino e parlo russo, la gente russofona dell’Ucraina non lo vuole. Devono ritirarsi, ma non ci contiamo troppo. Per questo stiamo costruendo le fortificazioni per contrastare l’aggressione russa, se ci proverà».

Sembra più una mossa di immagine: è possibile costruire un muro su un confine enorme se i russi non lo vogliono, e soprattutto nel Donbass che non controllate?
«Ora abbiamo 450 chilometri di linea di contatto. Finché la Russia si nasconde dietro i separatisti di Donetsk è una cosa, ma se passa il confine nella regione di Karkiv sarà un’aggressione diretta, entreremmo in una guerra feroce con centinaia di migliaia di morti. Alla fine la Russia perderebbe, non ha così tante forze per attaccare un paese grande come l’Ucraina. Dovrà passare su un territorio che non è stato avvelenato da Janukovic, un territorio pro Ucraina: gli servirebbero un milione di soldati, praticamente l’intero esercito, e risorse finanziare enormi. Anche noi abbiamo le nostre debolezze, il nostro livello di reazione sarà altissimo e lo saranno anche le perdite, ma dobbiamo anche prendere in considerazione il matto che può usare le armi atomiche. L’Ucriana ha restituito le sue armi atomiche in cambio di garanzie sulla sua integrità territoriale. Invece è stato occupato il Donbass, e non abbiamo nessun tipo di appoggio militare. Il nostro è un popolo semplice, e vive tutto questo come un inganno. La mia città, Karkov, è la culla della civiltà atomica, l’atomo è stato diviso per la prima volta lì. Ma abbiamo dato tutte le nostre scorte di uranio arricchito per la sicurezza mondiale. Ora tutti fanno finta che siano problemi nostri, e non è onesto».

Forse dovreste accettare l’idea di un compromesso, no?
«La signora Mogherini durante un incontro con il primo ministro, al quale ero presente, ha chiesto perché non vogliamo cercare un compromesso con la Russia, perché non conteniamo le nostre richieste. Il primo ministro ha risposto che l’occupazione del nostro territorio e l’uccisione della nostra gente non tollera alcun compromesso. Perché dovremmo subirlo? C’è un paese che fornisce in Europa carri armati, mine, granate, e il suo leader è accettato come niente fosse. È la stessa strada che ha portato alla Seconda guerra mondiale, con l’annessione dell’Austria. Man mano il mondo nutriva il cane impazzito, e ora dico al mondo di non farlo: non nutrite il cane impazzito della Russia. Non dico che dobbiate combatterlo con noi, questa è la nostra missione; ma aiutateci a contenerlo».

Quindi non sareste disposti ad accettare alcun compromesso territoriale, come la rinuncia alla Crimea in cambio della restituzione del Donbass?
«Non c’è un solo politico in Ucraina che accetterebbe una cosa del genere. Quello che è successo in Crimea muterà il volto della Crimea e la gente lo rivaluterà. In modo molto più sereno e pacifico ci restituiranno il territorio. Negli ultimi sei mesi cinque città della Crimea sono state riconosciute nei sondaggi come le più povere della Federazione russa. C’è una caduta enorme del turismo, il budget del capoluogo Sinferopoli si è ridotto a un terzo. La minoranza tartara autoctona è perseguitata, si chiudono i loro giornali e la loro tv, c’è una grande crisi economica e privazione delle libertà politiche. La qualità della vita della gente della Crimea si riduce di molto. E lo stesso vale per il Donbass. Se chiudiamo la frontiera, senza azioni militari il governo dell’occupazione sarà spazzato via in tre mesi dalla gente. Le miniere devono lavorare, le fabbriche siderurgiche principali devono lavorare».

Chiusi lì senza risorse? Suona come un assedio medievale.
«È così, sì! Osservate i grandi industriali, come Rinat Akhmetov: sono venuti a Kiev, non sono andati in Russia. Pagano le tasse in Ucraina. Si rivolgeranno tutti a noi, se ci saranno elezioni veramente libere, senza mitragliatrici russe e svolte secondo la Costituzione ucraina prendendo in considerazione gli interessi delle élite locali, con un regime economico e linguistico speciale ma senza alcuna separazione e senza ingresso nella Federazione russa. Nella regione di Lugansk c’è un fiume che divide i due eserciti, e c’è una zona neutrale con tre villaggi. Sono venuti da noi con una proposta: mettiamo la bandiera ucraina, cacciamo i banditi ma ricostruiamo la posta e la banca e le pensioni si pagano qui».

Nessun civile vuole la guerra
«La gente nei territori occupati che sono stati liberati vede cambiamenti concreti e un reale miglioramento della qualità della vita. Dico una cosa che scolpiamo nell’oro: la guerra non è una giustificazione per non fare le riforme. Nonostante la guerra, noi facciamo le riforme. È una pillola molto amara, ma nei prossimi mesi si vedrà il risultato».

Quale pillola somministrate?
«Aumento delle tariffe di gas, acqua, energia elettrica e riscaldamento come chiede l’Fmi. E una nuova politica fiscale che non prevede aumento delle tasse ma rafforza i controlli sulle dogane, sull’Iva e sugli schemi torbidi dell’evasione a cui gli imprenditori erano abituati. Ovviamente non sono riforme popolari. Ma quando siamo arrivati avevamo in cassa 170 milioni di grivne, lunedì in mezzo a una crisi tremenda ne avevamo 34 miliardi: soldi sufficienti per approvvigionare l’esercito e pagare stipendi e servizi sociali, e per accantonare un fondo per i soldi che spettano alla gente che vive nei territori occupati. Siamo riusciti a stabilizzare i conti, e alla fine dell’anno ci aspettiamo già i primi risultati dalle riforme strutturali. Inclusa quella dell’Interno: dall’estate entra in vigore quella della polizia, che sarà soprattutto un cambio di atteggiamento: dovrà controllare il territorio secondo un modello all’americana».

Il livello di corruzione in Ucraina è altissimo. La combatterete?
«La stiamo facendo. Abbiamo deciso di intervenire subito e abbiamo arrestato funzionari del ministero e anche il ministro delle Emergenze durante una seduta ufficiale. Non volevamo fare spettacolo, ma avevamo bisogno di vaccinare il paese: ora la gente ci crede che stiamo davvero facendo la lotta alla corruzione».

Non è un quadro molto ottimista.
«Io sono il più grande ottimista nell’intero nostro governo! Mao Tse-tung diceva: passo dopo passo si arriva al successo. Non abbiamo altre soluzioni, dobbiamo fare quello che va fatto. Sono ottimista perché ho frequentato l’asilo nell’Urss, militavo tra i giovani del partito comunista e capisco bene come funzionano le società post sovietiche: quello che sta succedendo in Russia non può continuare a lungo, noi dobbiamo solo attendere e difendere il nostro paese. È una scissione di civiltà, e purtroppo noi siamo sulla linea. Non possiamo che stare fermi. Ma ringrazio gli Usa che ci aiutano molto, e la Ue alla quale però chiediamo di più perché siamo nella stessa casa e siamo la stessa famiglia. Col tempo, tutti capiranno che l’unica soluzione è una forte Ucraina, siamo l’unico modo di contenere la Russia finché non cambia regime».

Perché avete cooptato al governo il leader di Pravj Sektor, formazione nazionalista e fascista?
«No è entrato nel governo».

È consigliere del ministro della Difesa…
«Yarosh è un deputato. Non direi che Pravj Sektor ha inclinazioni verso l’ideologia fascista, allo stesso modo potrei caratterizzare alcuni membri del parlamento italiano come fascisti. E credo che Yarosh picchierebbe chi gli desse del fascista. Lui è orgogliosamente nazionalista».

Nel mito di Bandera, che era collaborazionista?
«Ma in Ucraina occidentale Bandera è un eroe nazionale, la questione è delicata. La scorsa settimana il Parlamento ha approvato una legge contro le ideologie fascista e comunista. Noi teniamo sotto controllo la destra estrema. Gran parte della destra ha canalizzato la voglia di combattere in una linea costruttiva. Il battaglione Azov che all’inizio era un gruppo di estremisti di destra ora è più organizzato della guardia nazionale. E continueremo a metterli in prigione, quando serve. La settimana scorsa abbiamo arrestato otto giovani di Pravj Sektor, con pieno accordo di Yarosh: erano in prima linea, ma rubavano ai civili. La situazione nelle zone di conflitto è sempre molto delicata, chi ha una pistola comanda. Ma la guardia nazionale sta prendendo la situazione sotto controllo».

La Repubblica

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